lunedì 3 maggio 2010

il nemico


credo sia stato automatico per me nel passato convogliare le energie negative contro un nemico esterno, che si trattasse di mia madre o della sorte o di mille rivoli di rabbia inespressa. In fondo è un procedere facile, che solleva da gran parte delle responsabilità. Meno facile "vedere" dal punto di vista del "nemico interno" che è invece nostra piena responsabilità, senza facili compromessi, senza vie di fuga.
Lascio alle parole di Agnese Galotti, psicoterapeuta genovese, il compito di approfondire questo concetto, partendo dalla delineazione di due realtà diverse, quella del vittimismo e quella del superamento dialettico:


(...) 1) La prima, che definirei pre-dialettica è quella in cui vige il bisogno di un nemico fuori quale detentore della colpa che giustifica la nostra impotenza.
E’ la situazione in cui prevale l’unilateralità, una scissione piuttosto rigida tra ciò che è bene e ciò che è male come "oggettivamente" intesi, in cui l’individuo pone la propria identità in quella parte della personalità che forma l’Io cosciente, vale a dire nell’immagine di sè conosciuta ed accettata.
Tutto ciò che l’individuo sperimenta ma che non rientra in quegli aspetti dell’Io ritenuti accettabili è qualcosa che viene vissuto come "esterno", come indotto da altri, con cui non si ha nulla a che vedere salvo il fatto di trovarsi a subirlo: viene a nascere così il totalmente altro da sè.
Ma poichè la nostra personalità non si esaurisce nell’Io cosciente, questa identità è salvaguardata proprio dal costituirsi di questo nemico fuori su cui proiettare tutto il resto.
E’ il totalmente altro da noi che si assume - ai nostri occhi ingenui - la responsabilità e la causa di tutto ciò che non ci va bene, che ci fa soffrire, che crea conflitto.
Persona evento o situazione che sia, il nemico è caricato del peso in senso giustificativo, della colpa di chi si oppone a noi ed ostacola il nostro benessere.



2) La seconda, che definirei dialettica, è quella in cui il nemico è colui che ci spinge e costringe al cambiamento, trasformandosi così in alleato.
E’ la situazione in cui è avvenuto il riconoscimento in sè di parti inconsce (spiacevoli, ombrose o comunque in conflitto con l’Io cosciente), quindi è avvenuta l’accettazione del conflitto quale situazione che inevitabilmente si viene a creare tra le parti interne.
La tensione generata dal conflitto, se il soggetto non cede alla tentazione di liberarsi velocemente di uno dei poli, porta al superamento dell’opposizione, dunque alla comparsa di quel "terzo punto", sintesi tra i due precedenti, in un movimento dinamico che consente la soggettivizzazione.
Allora l’altro, interlocutore interno o empirico che sia, anche quando sia percepito come "nemico", attivatore cioè del conflitto e della sofferenza ad esso legata, rivela il suo aspetto di alleato necessario, in quanto capace di mettere in evidenza il limite, la tendenza all’unilateralità, e si pone quale stimolo costante al superamento della posizione fin lì raggiunta, impedendo l’assolutizzazione di una tappa.
Ma deve trattarsi allora di un degno nemico, come quello di cui ha bisogno un guerriero per essere tale, quel nemico capace cioè di costringerci compiere un salto che da soli non faremmo mai.
Di fronte a tale degno nemico, come dice di Don Juan al suo allievo Castaneda: "Potresti dover far uso di tutto quello che ti ho insegnato: non hai altra alternativa. (...) Il tuo avversario è sulle tue tracce e per la prima volta nella vita non ti puoi permettere di comportarti a casaccio.
Questa volta dovrai imparare un fare completamente differente, il fare della strategia. Ragiona così: se sopravvivi agli assalti della Catalina [donna dotata di magici poteri che mette alla prova l’apprendista stregone] dovrai ringraziarla un giorno o l’altro per averti costretto a cambiare il tuo fare." E il fare della strategia, spiega ancora Don Juan: "comporta che non si è alla mercé della gente." Dunque il degno nemico è la situazione in cui è intuito un che di profondo che la rende sensata, anche se non meno dolorosa, in virtù del superamento verso cui ci spinge. (...)

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