domenica 31 gennaio 2010

una lirica senza elegia

A proposito della riflessione sulla poesia e sul suo farsi ecco un breve capitolo tratto da un testo di Milo De Angelis, Poesia e destino, che mi ha accompagnato lungo tutti questi anni.


Un ponte di secoli collega Alcmane a Campana e a Barbu, tre poli di una lirica senza elegia, lontana da una vicenda personale e dall'asse più noto della lirica europea. Senza elegia significa anche senza il tentativo di abbassare le potenze arcaiche e di farne un risvolto dell'umano. Alcmane, Campana e Barbu non sono la stessa cosa, come non lo sono il vedere limpido, la recisione e l'asprezza: ma essi sanno che con le forze non c'è tempo di commuoversi e che occorre saper morire nettamente perchè qualcuno veda. Così Campana quando ha detto io è stato animalità, trasformando davvero questa sillaba nel raglio del suo accento spostato e ribadendo una voce di uomo fino al punto di farne sentire le corde vocali, sue e di un altro.  E già fin dall'inizio Omero si era inginocchiato alle forze lasciandole grandeggiare. Barbu è in un altro luogo ancora, tra gli spigoli della materia, dove c'è una pressione potente e ruvida, che non si spalanca al  mondo eppure non ne mostra la nostalgia.

E' prigione nella bruciata, indegna terra.
Di giorno il fieno dei raggi inganna;
ma le nostre teste, se ci sono,
stanno ovali, di calce, come un errore
                                   Ion Barbu

sabato 30 gennaio 2010

il numinoso


Collegato al tema della presenza  emerge il numinoso. Ecco Le numineux, tratto da Sagesse et amour, ultimo libro di Karlfried Graf Durckheim.

E' sufficiente che un soffio dell'altra dimensione giunga fino alla nostra coscienza perchè l'insieme del nostro vissuto si riempia di una qualità particolare, che chiamiamo numinoso.
Il numinoso presenta sempre due aspetti: il fascinosum e il tremendum. Fascinosum significa che qualcosa ci attira con forza. Perchè? Perchè, in fondo, noi stessi siamo ciò che ci attira e nondimeno, non del tutto. Lo percepiamo perchè vorremmo esserlo. Il tremendum è ciò che ci scuote. Ogni volta che l'altro aspetto ci tocca, l'aspetto nel quale ci troviamo e col quale ci sentiamo in unità, comincia a tremare.
Nulla può scuotere così profondamente la facciata del nostro io quanto l'intrusione della dimensione oltremondana. Ciò che si apre a quel punto ci spaventa, perchè là c'è sempre un momento in cui è permessa un'apertura, la cui intrusione nel nostro essere presenti abituale, ristretto dall'orizzonte del nostro io ordinario ha sempre il carattere di una liberazione: sì! c'è lì qualcosa che risolve, che gioisce ed è a quello che appartengo autenticamente.
E' questo un aspetto che oggi integreremo all'esercizio: abbandonare la presa, aprirsi verso una liberazione dai nostri condizionamenti. Allora zazen ci consentirà forse di accedere sino al luogo in cui, per una frazione di secondo, avvertiamo il Vero inconfutabile come presente.
(Traduzione Maresa) 

martedì 26 gennaio 2010

esserci

Dopo aver ragionato per anni in termini di assenza e di mancanza comincio a intuire cosa possa voler dire ragionare e vivere in termini di presenza. Ecco un articolo illuminante di Agnese Galotti, psicoterapeuta genovese, dal titolo Pensiero e presenza.


(...) Il termine Presenza viene dal latino `Praesentia', sostantivo di prae-esse che significa "essere innanzi"; quindi rimanda ad un rapporto tra due entità che si trovano l'una avanti all'altra, che si fronteggiano.
Presenza ha per contrario assenza che, in termini percettivi, può meglio essere concepita come `mancanza'.
Chi sta svolgendo un lavoro analitico sa perfettamente quanto sia importante imparare a riconoscere e ad accogliere la mancanza, anziché demonizzarla, in quanto, ad un occhio attento, essa si rivela quale motore principale del percorso individuativo stesso: sentire la mancanza induce a cercare la presenza.
L'esperienza della mancanza, dunque, è già l'altra faccia della presenza, in quanto genera l'idea di ciò di cui si percepisce la mancanza, ciò che è assente.
Evidenziamo ora due aspetti particolari del concetto di presenza che ne focalizzano l'attinenza profonda con il lavoro analitico, in quanto hanno a che fare con la conoscenza e con la relazione:
- il suo lato `esperienziale' (relativo quindi al dato sensibile dell'atto conoscitivo) che fa riferimento ad un preciso atteggiamento o disposizione interiore a `sentire' nel `qui ed ora'; - il contesto in cui si pone (e ci pone) tale concetto, che è quello della relazione tra particolare ed universale, relazione intersoggettiva in cui il soggetto che percepisce (l'individuo) realizza di essere tutt'uno con il soggetto che è percepito: l'essere tutto, l'uno, la realtà ultima, ciò che è.
Ciò costringe contemporaneamente ad un'osservazione estremamente concreta e pragmatica - legata al sentire, alla percezione nel qui ed ora - senza però perdere di vista il contesto in cui l'osservazione stessa ci pone, il `manifestarsi dell'essere nell'uomo', che è quanto di più vasto ed onnicomprensivo noi si riesca a concepire.
Presenza inoltre rimanda ad una dimensione temporale che riguarda il qui ed ora, il momento presente: la concentrazione nel qui ed ora quale unica realtà veramente esistente, permette di sprofondare nel non tempo, nell'eternità, in quello che Eckhart chiama `momento presente assoluto'.
Presenza, quindi, come ponte, elemento di unione ovvero come `soglia' tra il tempo presente, l'attimo fuggente, ed il tempo infinito, ovvero il non-tempo.
Esistono vari livelli di presenza attraverso cui il soggetto, prendendo distanza da sé, arriva a `vedersi', ovvero a farsi presente a se stesso. Si tratta di un progressivo distacco da sé, da ciò che di sé si conosce o si crede di conoscere, da ciò con cui si tende ad identificare se stessi, per compiere un salto riflessivo attraverso cui arrivare di volta in volta a vedere se stessi in una sempre crescente interezza.
- Il livello primitivo è quello in cui non c'è coscienza di sé e quindi manca totalmente il concetto di `essere presenti a se stessi'; ciò corrisponde alle situazioni - fortemente patologiche - in cui siamo totalmente aderenti alle sensazioni e ai sentimenti, al punto che, quando ne usciamo, non siamo neppure in grado di ricordare: si tratta di un livello di incoscienza totale.
- Il primo livello in cui si può parlare di presenza lo possiamo individuare nel passaggio dalla tendenza a coincidere con il nostro sentire, con il nostro patire nonché ad identificarci con sentimenti ed emozioni, al momento in cui ne ricuperiamo coscienza e memoria, in cui inizia la riflessione su quanto vissuto.
Da qui si impara gradualmente a distinguersi dalla vicenda, a ricondurre a sé gli eventi, a cogliersi come soggetto.
Questo è il primo livello di presenza a se stessi, che può essere raggiunto a partire dal farsi consapevoli della propria esistenza fisica, attraverso la registrazione e quindi la consapevolizzazione progressiva di sensazioni, percezioni, emozioni, sentimenti e pensieri.
- Possiamo individuare un secondo livello di presenza a sé stessi quando, nel tentativo di svuotare la mente, si arriva a cogliere il proprio esserci al di là di ogni evento particolare, al di là della propria stessa storia personale, fino a sentire di `esserci' come pura presenza. Inizialmente ciò può accadere grazie ad un particolare raccoglimento meditativo, in cui ci si libera da qualsiasi contenuto specifico; tuttavia, e questo è ancora più affascinante, è un tipo di percezione che può manifestarsi senza preparazione né preavviso e può dilagare sempre più nella quotidianità.
E' la sperimentazione di una disidentificazione progressiva da qualsiasi immagine di sé, da qualsiasi contenuto specifico, una libertà associata al `distacco' da tutto ciò che è determinato, primo tra tutti l'Io psicologico.
E' il momento di estremo sollievo in cui `ci liberiamo di noi stessi'.
Sono talvolta solo attimi, in cui una gioia profonda ci assale inaspettatamente, senza un perché, in cui ci è restituita la sensazione di pienezza che non ha nulla a che fare con alcun fatto contingente, con alcuna realizzazione personale.
Infatti, se da un lato è fondamentale il lavoro di consapevolezza che ci dispone alla percezione della presenza, tale esperienza resta caratterizzata da un'autonomia e gratuità che non permette alcun controllo né alcuna appropriazione da parte dell'Io.
Questa gioia associata alla presenza spesso si manifesta attraverso la percezione di "Qualcuno in noi", amante/amato, da cui ci sentiamo accompagnati in ogni momento, grazie a cui cade il concetto stesso di solitudine, accada quel che accada.
In questo dialogo interiore tuttavia possiamo individuare una sfumatura `personalistica' laddove quel `Tu' interiore rimanda ancora ad un `Io' che ne fa esperienza.
Questo è il limite dell'esperienza personale: il fatto che quanto realizzato da ciascuno rischia di restare nel chiuso di quel soggetto particolare che ne fa esperienza, se non si apre la possibilità non solo di condivisione ma addirittura di co-sperimentazione.
- Si può allora accennare ad un ulteriore livello di presenza, di natura sovra-personale, in cui si verifica il superamento di ogni riferimento a sé come dato personale: una sorta di spersonalizzazione, tanto elevata quanto inquietante, che permette di cogliere la pura presenzialità sgombra da ogni determinazione.





domenica 17 gennaio 2010

alla fine andammo tutti

alla fine andammo tutti, mortiviventi
e vivi,
avvolti nel tessuto
reso impalpabile dalla pioggia,
i tacchi nel terreno molle,
gocce perfette sulle acconciature,
come crinoline per astronauti
e suonatori da pochi soldi
provvisoriamente in debito
di ossigeno.
Potevate vederci secchi, rigidi
come alberi, eredi dei film muti,
una particina tra farsa e dramma,
cera e cerone,
una finestra aperta sul mondo triturato,
aprirci un varco e proporre la nostra rivoluzione
al funerale
(Cuore provvisorio)

madre

Madre, potesse aprirsi come uno scalpello
Il turbinoso ruotare delle mandibole,
senza ferirci o annientarci, senza fiamme
a distruggerci,
la feritoia finalmente intatta,
ossa e nervi al loro posto,
in un crescendo di suoni acuti, schiaffi
all’acqua che scorre di nuovo,
il tuo corpo e il mio, separati
(Cuore provvisorio)

è liberato da tutta l'angoscia e la sofferenza






ecco alcuni versi di Hakuin Ekaku, maestro zen giapponese, tratti dal Dokugo shingyo (Parole velenose per il cuore).
Le sto sperimentando e  mai come oggi mi sono parse appropriate!

L'orco di fuori spinge la porta,
l'orco di dentro la tiene ferma.
Grondanti sudore dalla testa ai piedi
lottando per la vita,
continuano così tutta la notte.
Finalmente, al sorgere dell'alba,
la loro risata riempie le prime luci:
erano amici fin dall'inizio.

venerdì 15 gennaio 2010

traghettatore di felci notturne

Traghettatore di felci notturne,
costruttore di neve rosata,
ampio mantello,
mio cuore,
desolato ricordo di roseti,
parola che nomina il mondo
(La meraviglia imperfetta)

domenica 10 gennaio 2010

a cercarlo andammo in tanti

a cercarlo andammo in tanti,
lo si riconosceva da una leggera balbuzie
e dal passo claudicante,
guardava il mondo con occhi miopi da cerbiatto
e misurava un po’ troppo le parole.
A volte lo si poteva incontrare nella piazza degli Olii,
la chiamavano così i figli dei migranti,
i padri nelle officine, i figli in piazza,
spesso lui era lì a giocare a pallone,
col suo passo,
la sua balbuzie,
il suo sguardo,
rideva a crepapelle
annunciando la fine dei sotterfugi.
Alla fine lì ci fece la scuola degli Olii
e del racconto dell’ulivo
una strategia di cuore
(Cuore provvisorio) 

cuore provvisorio


il vento della vigilia

provvisorio il nome del fiume,
che l’ansa più sotto raccoglie in un groviglio
di abbracci,
di rami e cespugli interrotti dal vento della vigilia,
morderanno appena,
i fili del racconto, a ricordare la trama
di questo viaggio di argini divelti,
di aghi di pino per cuscini,
del riposo provvisorio,
della tinca e del guado
(Cuore provvisorio)

mercoledì 6 gennaio 2010

all'amato me stesso

luce e ombra

(disegno Marco Viale)


Nel tubo. Luce di stelle
di provincia.
Quando intravedi distorta
la prospettiva, è luce e ombra,
pulviscolo di salive di umani
che ballano
(La meraviglia imperfetta)

venerdì 1 gennaio 2010

parole nuove

chérir :

aimer tendrement, avoir beaucoup d'affection pour quelqu'un
(Le petit Robert)